Devo conoscermi, non per come mi piacerebbe idealmente essere, ma per come sono in realtà, che io sia spiacevole o gradevole, geloso, invidioso o avido.
E molto difficile osservare ciò che si è senza desiderare d’essere diversi; e proprio quel desiderio d’essere diversi, di cambiare, è un’altra forma di condizionamento; e così ricominciamo daccapo, muovendoci da un condizionamento all’altro, e non facciamo mai esperienza di qualcosa che sia oltre il limitato
KRISHNAMURTI
Conversazioni
sulla mente e il pensiero
Domanda: L’ho ascoltata per molti anni, e credo d’essere diventato bravo nell’osservare i miei pensieri e nell’essere consapevole delle cose che faccio. Ma non ho mai toccato le acque profonde o esperito la trasformazione di cui parla. Perché?
Krishnamurti: Io credo che sia abbastanza chiaro il perché nessuno di noi esperisce qualcosa oltre il mero osservare. Ci possono essere rari momenti di uno stato emotivo in cui vediamo, per così dire, il cielo chiaro tra le nuvole, ma io non mi riferisco a cose di questo genere. Tutte queste esperienze possibili sono momentanee e hanno poco significato.
Chi pone la domanda vuole sapere perché, dopo tutti questi anni dediti all’osservare, non ha trovato acque profonde.
Perché mai dovrebbe trovarle? Comprendete?
Voi pensate che osservando i vostri pensieri sarete, un giorno, premiati: fate questo e otterrete quello. In realtà voi non state osservando affatto, perché la nostra mente è impegnata a guadagnarsi un premio. Voi pensate che osservando, che essendo consapevoli, voi diverrete più amorevoli, che soffrirete di mano, e che sarete meno irritabili, che otterrete qualcosa di speciale; ecco che il vostro osservare in realtà è un metodo d’acquisto. Con questa moneta comprate quello, che significa che il vostro osservare è una questione di predilezione, di scelta, e quindi non si tratta né di osservazione né di attenzione.
Vedere significa osservare senza scegliere, vedere come siete senza il minimo desiderio di cambiare, che è una cosa estremamente ardua da compiere; questo non significa certo che rimarrete vello stato presente. Voi non potete sapere cosa accadrà se vi osservate come siete senza desiderare di apportare un cambiamento in ciò che vedete.
Farò un esempio e cercherò di spiegarmi meglio, così che possiate comprendere.
Diciamo che sono un tipo violento, come molte persone. Tutta la nostra cultura è violenta, ma non farò qui l’anatomia della violenza, non si tratta del problema che stiamo affrontando ora. Sono violento e mi rendo conto di esserlo. Che cosa succede?
La risposta immediata è che io devo fare qualcosa, non è forse così?
Mi dico che devo diventare non violento. Questo è ciò che tutti i maestri religiosi ci hanno detto per secoli, che se uno è violento deve diventare non violento. Così mi esercito, e mi cimento con tutto l’apparato ideologico. Ma ora vedo l’intera assurdità della faccenda, perché l’entità che osserva la violenza e che desidera trasformarla in non violenza è ancora violenta. Perciò io mi occupo dell’entità stessa, invece di occuparmi dell’espressione di quell’entità.
Ora, mi chiedo, che cosa è quell’entità che dice: “Non devo essere violento”? Quell’entità è forse diversa dalla violenza che ha osservato? Si tratta di due condizioni diverse? Di sicuro, la violenza e l’entità che dice: “Devo trasformare la violenza in non violenza” sono la stessa cosa.
Riconoscere questo fatto, significa mettere fine a tutti i conflitti, non è vero? Non c’è più il conflitto causato dal dover cambiare, perché ora vedo con chiarezza che proprio quel movimento mentale verso la non violenza è l’espressione della violenza.
Quindi, chi pone la domanda vuole sapere perché non riesce ad andare oltre tutti questi superficiali alterchi mentali. Per la semplice ragione che in modo conscio o inconscio la mente sta sempre cercando qualcosa, e che quella stessa ricerca genera violenza, competizione, e una sensazione di profonda insoddisfazione. E soltanto quando la mente è completamente quieta che si possono toccare acque profonde.
Perché è stata costruita la struttura chiamata ‘me’? Perché il pensiero ha fatto questo? E’ realmente una domanda di straordinaria importanza, perché si tratta della nostra vita. Dobbiamo affrontare tutto ciò con enorme serietà. Perché il pensiero ha generato il ‘me’?
Sia che vediate questo fatto, che il pensiero ha costruito il ‘me’, sia che diciate che il ‘me’ è qualcosa di divino, qualcosa che esisteva prima ancora dei tempi (cosa che, infatti, molti dicono), dobbiamo procedere e indagare.
Per quale motivo il pensiero ha creato il ‘me’? Perché? Non lo so, e voglio scoprirlo.
Per quale motivo credete che il pensiero abbia creato il ‘me’?
Ci sono due punti da prendere in considerazione: uno è che il pensiero richiede stabilità; solo quando c’è sicurezza il cervello è soddisfatto.
Ecco, quando c’è sicurezza il cervello opera meravigliosamente, che lo faccia in modo ragionevole o nevrotico.
Quindi, una delle ragioni è che il pensiero, essendo esso stesso insicuro, frammentato, frantumato, ha generato il ‘me’ come qualcosa di permanente; il ‘me’ che è poi divenuto separato dal pensiero, e quindi da questo percepito come permanente.
Questo permanere è definito attraverso l’attaccamento: la mia casa, il mio carattere, i miei desideri, le mie volontà, tutto ciò dà al ‘me’ un completo senso di sicurezza e di continuità. Non è forse così?
L’altro punto è dato dall’idea che il ‘me’ sia qualcosa che esiste già prima del pensiero: è così? E chi può dire che esistesse prima ancora del pensiero? Se fate questa affermazione (come molti fanno), qual è la sua motivazione? Su quale base assente ciò? Si tratta di un’affermazione della tradizione, una convinzione, una credenza, un non voler riconoscere che il ‘me’ è un prodotto del pensiero, e non qualcosa di meravigliosamente divino, che è ancora una volta una proiezione del pensiero che il ‘me’ sia permanente?
Avendo osservato tutto ciò, si abbandona l’idea che il ‘me’ sia eterno, eternamente divino, o come lo si voglia definire, che è troppo assurda; si può vedere con chiarezza che il pensiero ha creato il ‘me’, che il ‘me’ è diventato indipendente, che ha acquisito conoscenza, il ‘me’ che è l’osservatore, il ‘me’ che è il passato.
Il ‘me’ che è il passato transita attraverso il presente e si modifica come futuro: si tratta ancora del ‘me’ creato dal pensiero, e quel ‘me’ è diventato indipendente dal pensiero stesso. Giusto?
Vogliamo procedere da qui? Per favore, non accettate questa descrizione, le parole, ma osservate la verità di questa cosa: nello stesso modo in cui vedete la realtà di questo microfono, così capite la realtà di questa cosa. Quel ‘me’ ha un nome e una forma. Quel ‘me’ possiede un’etichetta, si chiama John, e ha una forma, si identifica con il corpo, il volto, l’intera struttura.
Quindi esiste l’identificazione del ‘me’ con un nome e una forma, che sono la struttura, e con gli ideali che vuole perseguire, o il desiderio di cambiare quel ‘me’ in un’altra forma di ‘me’, con un altro nome. Questo è il ‘me’. Questo ‘me’ è il prodotto del tempo e, conseguentemente, del pensiero.
Questo ‘me’ è la parola; togliete la parola: che cos’è il ‘me’?
Allora, questo ‘me’ soffre, il ‘me’, come ‘te’, soffre. Perciò il ‘me’ che soffre è ‘te’. Il ‘me’ nella sua grande ansia è la grande ansia del ‘te’: per questo motivo tu e io siamo comuni. Questa è l’essenza che è alla base: malgrado tu sia più alto, più basso, più intelligente, di diverso temperamento, con un carattere diverso, tutto ciò è dato dal periferico movimento della cultura, ma in profondità, alla radice, siamo uguali.
Quindi il ‘me’ si muove in correnti di avidità, in percorsi egoistici, nei sentieri della paura, dell’ansia e via dicendo, e questo accade, esattamente nello stesso modo, per ‘te’. Ecco, è così: tu sei egoista e un altro è egoista, tu sei spaventato e un altro lo è, essenzialmente tu soffri, provi dolore, piangi, sei avido, invidioso: è ciò che tutti gli esseri umani hanno in comune. Questo, adesso, è il flusso in cui siamo, questo è il flusso in cui tutti noi siamo catturati. In altre parole, noi tutti viviamo in quella corrente di egoismo, e in questa parola sono racchiuse tutte le descrizioni del ‘me’ che abbiamo appena fatto.
Quando moriamo quell’organismo muore, ma quella corrente dell’ego continua.
Fatela questa considerazione! Ho vissuto una vita estremamente egoistica, radicata in attività egocentrata. i miei desideri, l’importanza dei miei desideri, le ambizioni, la brama, l’invidia, l’accumulo di proprietà, l’accumulo di conoscenza, di tutte le cose che ho raccolto (tutto quello che ho definito egoistico). Questo è ciò in cui vivo, questo è il ‘me’ e questo siete anche voi, e nei rapporti è esattamente la stessa cosa. Così, nel nostro Vivere, noi tutti fluiamo in questa corrente di egoismo.
Questa è la realtà, non la mia opinione o una mia conclusione. Se osservaste, capireste ciò di cui sto parlando. Andate in America e vedrete lo stesso fenomeno, così in India, come in Europa, magari modificato dai diversi contesti, da pressioni diverse, ma nell’essenza vedrete la stessa cosa, lo stesso flusso di egoismo; e quando il corpo muore, quel movimento continua.
Quindi, questo vasto flusso egoistico, se posso riassumere in questa espressione tutte le cose che esso implica, è il movimento del tempo; e quando il corpo muore, questo movimento continua.
Viviamo quotidianamente in quella corrente fino a quando moriamo, noi moriamo e quel flusso continua.
Quel flusso è il tempo. Quello è il movimento del pensiero, che ha creato sofferenza, che ha creato il ‘me’, dal quale il ‘me’ ha definito se stesso come essere indipendente separandosi da te, ma quel ‘me’, quando soffre, è la stessa cosa che te. Quindi il ‘me’ è la parola, il ‘me’ è la struttura immaginata dal pensiero, in se stessa non ha realtà, è ciò che il pensiero ha generato, perché il pensiero ha bisogno di sicurezza, di certezza, e ha investito nel ‘me’ tutte le sue certezze.
In tutto ciò è implicita la sofferenza: mentre viviamo, siamo trasportati da questa corrente, dal flusso dell’egoismo, e quando moriamo, quel movimento continua. E’ possibile che quel flusso si arresti. Muoio fisicamente, questo è ovvio, mia moglie può piangere, ma il fatto è che io muoio, il corpo muore, mentre questo movimento del tempo, di cui facciamo tutti parte, continua. Ecco perché il mondo è me, e io sono il mondo.
Ci sarà mai una fine a quel flusso? Esiste la manifestazione di qualcosa che sia completamente diverso da quel flusso? In altre parole, può mai l’egoismo, con tutte le sue sottigliezze, giungere a una fine completa?
Quella fine è la fine del tempo e lì si manifesta una dimensione totalmente diversa, che non è affatto centrata nell’ego.
Domanda: In che modo attenzione e pensiero sono correlati? C’è tra di essi un divario?
Krishnamurti: Questa è una buona domanda, perché ci riguarda da vicino.
Ecco: che cos’è l’attenzione? Qual è la relazione tra pensiero e attenzione? C’è libertà nell’attenzione?
Noi sappiamo cos’è la concEntrazione, molti di noi, fin dall’infanzia sono stati educati a essere concentrati. Ciò che quella concentrazione implica è la focalizzazione di tutte le nostre energie in un punto particolare e il mantenimento di quello stesso punto.
Un bimbo a scuola sta guardando fuori dalla finestra uno scoiattolo che si arrampica sull’albero, e l’insegnante dice: “Guarda, non sei attento, concentrati sul libro; ascolta ciò che ti sto dicendo!”. Questo fa sì che la concentrazione divenga più importante dell’attenzione.
Se fossi nei panni di quell’insegnante, aiuterei il bambino ad osservare lo scoiattolo in modo completo, ad osservare il movimento della coda, le mandibole. Allora, se impara a osservare ciò con attenzione, sarà attento al libro! In questo modo non si verificheranno contraddizioni.
L’attenzione è uno stato della mente in cui non c’è contraddizione. Non c’è alcuna entità, centro o punto che dice: “Devo essere attento”. Si tratta di uno stato in cui non c’è spreco di energia, mentre nella concentrazione è sempre in atto il controllo: devo concentrarmi su una pagina ma il pensiero se ne va altrove, e allora lo trascino di nuovo sulla pagina, in una battaglia costante. Mentre con l’attenzione è veramente tutto molto semplice; quando qualcuno dice: “Ti amo”, e lo dice sul serio, voi siete attenti. Non cominciate a chiedergli: “Mi ami perché sono bello, o perché sono ricco, o per ragioni legate al sesso?”, e così via.
Quindi, l’attenzione è qualcosa di profondamente diverso dalla concentrazione.
Ora, chi pone la domanda chiede qual è la relazione tra l’attenzione e il pensiero. Ovviamente, nessuna. La concentrazione è in relazione al pensiero solo perché il pensiero dirige: “Devo imparare, devo concentrarmi per poter controllare me stesso”. Il pensiero dà una direzione da un punto all’altro, mentre, nella realtà, nell’attenzione il pensiero non ha alcun ruolo: io sono attento e basta.
C’è forse un divario tra l’attenzione e il pensiero? Una volta che avrete afferrato l’intero movimento del pensiero, non formulerete questa domanda. Comprendere cos’è il pensiero è diverso dal sentirvelo riferire da qualcuno, si tratta di vedere che cosa è il pensiero, come si manifesta.
Se si verificasse un’amnesia totale, non ci sarebbe alcun pensiero. Ma noi non siamo in uno stato di amnesia e vogliamo scoprire che cos’è il pensiero, e qual è il suo ruolo nella nostra vita.
Il pensiero è una reazione alla memoria. La memoria si attiva in risposta a una sfida, a una domanda, a un’azione o, ancora, in relazione a qualcosa, a un’idea, a una persona.
Potete vedere tutto questo nella vita. Così, ci si chiede: che cos’è la memoria? Quando calpestate un insetto e questo vi punge, quel dolore viene registrato e riposto nel cervello, questa è la memoria. Quel dolore, che diventa un ricordo, non è un dolore reale. Il dolore è finito, ma la memoria rimane, così la prossima volta fate attenzione. C’è un’esperienza del dolore, che è trasformata in conoscenza e quella stessa conoscenza/esperienza viene immagazzinata in forma di memoria; e proprio quella memoria risponde al pensiero. La memoria è pensiero, e la conoscenza, per quanto sia vasta, profonda, estesa deve, sempre, essere limitata: la completa conoscenza non esiste.
Quindi, il pensiero è sempre parziale, limitato, divisivo, perché non è completo in se stesso, né potrà mai esserlo; può pensare alla completezza, può pensare alla totalità, al tutto, ma il pensiero stesso non è intero, quindi, qualsiasi cosa genera, filosoficamente o religiosamente, è ancora parziale, limitato, frammentario, perché la conoscenza è parte dell’ignoranza. Siccome la conoscenza non potrà mai essere completa, essa sarà sempre accompagnata dall’ignoranza, e se si comprende la natura del pensiero e che cos’è la concentrazione, allora si vede che il pensiero non può essere attento, perché attenzione significa dare tùtte le vostre energie senza resistenza alcuna. Se in questo momento siete attenti, che cosa accade? Non esiste un ‘te’ che è attento, non c’è un centro che dice: “Devo essere attento”. Siete attenti perché è la vostra vita, il vostro interesse. Se non siete interessati, è una faccenda diversa. Ma se siete seri e attenti, scoprirete che tutti i vostri problemi si sono dissolti, almeno per il momento.
Quindi, risolvere i problemi significa essere attenti: non è una trovata!
Sono state inviate più di duecentocinquanta domande, e tutte, in un modo o in un altro, non hanno a che fare con la realtà di chi pone la domanda. Non chiedete: “Perché la mente chiacchiera senza sosta?”. Ve lo siete mai chiesto, perché siete così irrequieti, sempre in movimento da una cosa all’altra, alla ricerca di continuo intrattenimento? Perché la vostra mente chiacchiera tutto il tempo? E che cosa farete a tale proposito?
La vostra risposta immediata è di controllarla, vi dite: “Devo smettere di chiacchierare”. E questo, che cosa significa? Che colui che controlla è il chiacchierare. C’è un controllore che dice: «Non devo chiacchierare”; ma esso stesso è parte del chiacchiericcio. Osservate la bellezza di questa cosa! Allora, che cosa fate?
Non so se avete notato che la mente, l’intera struttura del cervello, deve essere occupata con qualcosa: con il sesso, con i problemi, con la televisione, con il calcio, con la messa.
Perché deve essere occupata? Se non lo fosse, non sareste forse piuttosto insicuri, spaventati dall’idea del non essere indaffarati?
Vi sentite vuoti, non è vero? Vi sentite perduti, cominciate a rendervi conto di quello che siete, scoprite che, interiormente, c’è una grande solitudine, e per evitare questa profonda solitudine, con tutte le sue agonie, la mente chiacchiera, si occupa di tutto meno che di quello.
Allora, questo diviene la sua occupazione; se non sono occupato con tutte le cose esterne, come cucinare, lavare, pulire la casa, e così via, essa dice: “Sono sola, come posso risolvere questa cosa, devo parlare della sofferenza in cui sono”, ed è di nuovo nel chiacchiericcio.
Ma perché la mente chiacchiera? Fatevi questa domanda. Perché la vostra mente conversa in continuazione, senza un momento in cui è quieta, senza un momento in cui è completamente libera da tutti i problemi?
E’ forse questa occupazione frutto della nostra educazione, della natura sociale della nostra vita?
Queste sono, ovviamente, tutte scuse; ma rendetevi conto che la vostra mente chiacchiera continuamente e osservatela, lavorateci, state lì. Se la mia mente sta conversando, la osservo, dico: “Va bene, chiacchiera”, e allo stesso tempo sono molto attento, che significa che non sto cercando di non far chiacchierare la mente. Non sto dicendo che non devo metterci un punto, sto solamente attento al chiacchiericcio.
Se lo fate, vedrete cosa accade. Allora la vostra mente sarà chiara, libera da tutto questo, e probabilmente questo è lo stato di un sano e normale essere umano.